Nel corso dei millenni, gli uomini si sono, via via, aggregati in agglomerati urbani sempre più complessi e interconnessi. Nel periodo di massimo splendore dell’impero romano, la sua capitale, Roma (il centro del mondo, per come era conosciuto allora in Occidente) contava circa un milione di abitanti. Oggi, invece, circa duemila anni dopo, le molteplici megalopoli globali che popolano il nostro pianeta contano decine e decine di milioni di persone.
È evidente come la complessità dell’urbanizzazione aumenti all’avanzare della tecnologia, del progresso, delle conoscenze scientifiche e, ovviamente, della pressione demografica.
Con Internet massivamente diffuso a livello globale, con le connessioni dati ormai sul punto di transitare completamente allo standard 5G (per non parlare dell’impatto immenso che avrà il 6G), con il conseguente avvento dell’IoT e con la notevole facilità di movimento, spostamento e viaggio, la gestione di una città qualunque (e, soprattutto, di quelle di medie-grandi dimensioni) non può che essere smart.
A livello di gestione di una città, essere smart non è e non dovrebbe essere un vezzo di qualche isolato visionario intellettuale proiettato al futuro o di qualche vacuo politico in cerca di voti. Essere smart è l’unica e inequivocabile modalità per gestire una città nel XXI secolo.
In un mondo globalizzato e interconnesso, è stato fatto notare come le città (e, ovviamente, ancora di più le smart city) siano e saranno sempre di più dei player geopolitici ed economici a livello globale, al punto che si è parlato di rinascita delle città stato.
Le caratteristiche che connotano le smart city sono molteplici, come è noto. Benché saranno oggetto di approfondimenti futuri in queste rubriche, qui riportiamo come una delle più importanti consista nella centralità che assumono i dati nelle decisioni, appunto data driven, che i policy maker sono tenuti a prendere.
Non solo: ci si propone, sempre qui, di sottolineare come il crowd management (e le counting tecnologies che ne permettono l’operatività attuativa) sia alla base di una gestione ottimale delle smart city.
Il crowd management è la capacità da parte del decision maker - in questo caso, una municipality - di monitorare e, eventualmente, in momenti di criticità, di dirigere le dinamiche di un (sovra)affollamento al fine di garantire la sicurezza dei cittadini.
Tale capacità può essere esercitata solo attraverso le counting technologies, ovvero quell’insieme di tecnologie sensoristiche che, grazie alla connessione all’IoT, permettono di fare, come si è detto, monitoraggio ed analisi dei flussi di persone e di eventuali sovraffollamenti in maniera del tutto data driven.
Nell’era dei Big Data, non è pensabile amministrare una città senza usare tecnologie data driven, come quelle counting; se un tempo un management di questo tipo era un’opportunità da cogliere, oggi è una imprescindibile necessità.
Ecco perché la sensoristica (più o meno riassumibile in sensori conta persone e videocamere 2D e 3D) non nuoce alla libertà del cittadino, ma la garantisce, implementando la sua sicurezza, con buona pace di coloro che a tinte fosche parlano di distopie cyber e di un futuro degno del più cupo George Orwell.
Infatti, la tecnologia è sempre stata un volano per garantire maggiore accesso alle risorse, facilità d’uso, semplificazione della vita delle persone e possibilità di crescita e benessere: in una parola, più libertà.
In tale scenario si inserisce G-move, azienda che offre la sua soluzione di people flow monitoring; una soluzione consistente in un sensore patented che permette di operare il tracking delle onde WiFi dei device delle persone in un determinato spazio ed entro un certo raggio di metri, monitorando e profilando ogni dispositivo secondo i più rigorosi standard del trattamento dei dati personali degli utenti e rendendo anonimi i dati, secondo le vigenti normative sulla privacy.